La bellezza dell’imperfezione: incontro degli studenti di Rigola e Lucino con la ginnasta Giorgia Greco
Don carlo San Martino Besana Brianza & Montano Lucino
La Nike di Samotracia è una scultura in marmo della scuola di Rodia, attribuita a Pitocrito, databile al 200-180 a.C. circa e oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi, che raffigura la dea Nike. È collocata in cima allo scalone che collega la Galerie d’Apollon, dove Napoleone la volle, in seguito al ritrovamento nel 1863, come posto d’onore e lì si trova ancora oggi. Nike è un personaggio della mitologia greca, personificazione della vittoria, figlia del titano Pallante e della ninfa Oceanina Stige, è sportiva e bellica. Nike viene raffigurata come donna con le ali, da qui l’appellativo di Vittoria Alata, a cui si è ispirato, imitandone l’ala, il noto logo di scarpe sportive NIKE. Certo, è un’opera molto famosa, ammirata ogni anno da migliaia di turisti, ma che cosa c’è di così seducente in questa scultura che da secoli attira così tanti sguardi? Sicuramente lo splendore della composizione, il candore del marmo, la slancio della posizione della figura, le pieghe dell’abito che aderiscono morbidamente al corpo della dea. Ma c’è un elemento che la rende affascinante: è il fatto che sia acefala e senza braccia, è il vuoto che chiede di essere completato, e noi siamo tutti lì a coglierne l’incompletezza nella quale ci riconosciamo come essere umani. Perfezione viene dal verbo latino perficio: un verbo che significa compiere, completare, finire, fare completamente. Perfectum è il participio perfetto, appunto, e vuol dire “fatto, compiuto, concluso”. Ma è l’imperfezione della Nike che suscita in noi emozioni forti e contrastanti: la vera perfezione è sentirsi sempre un cerchio che non si è ancora chiuso, in costante divenire verso il miglioramento. L’inganno della perfezione è tutto qui: noi vi aspiriamo molto spesso, ignorando quanto perfetto sia sinonimo di finito e quindi inerte, immobile, terminato. La bellezza della vita invece è la tensione della imperfezione verso la pienezza. È l’imperfezione che ci rende vivi.
Questa lezione l’ho capita pienamente quando ho conosciuto Giorgia Greco, la ginnasta che è arrivata alle finali di Italia’s Got Talent con un’esibizione di ginnastica ritmica eseguita con una sola gamba: l’altra gliel’hanno dovuta amputare quando aveva sette anni per salvarla da un osteosarcoma al femore. La Divina del nuoto, Federica Pellegrini, giudice al talent, l’ha spedita in finale premendo il Golden Buzzer con queste parole: Io vedo solo una cosa, stasera, la tua bravura.
La ginnastica ritmica è stata per Giorgia il suo primo amore. E quando tutto sembrava perduto, la sua passione è stata essenziale per aiutarla a ricominciare. Certo la strada è stata tortuosa e lunga, ma Giorgia, accompagnata dalla sua allenatrice, Alessia Carminati, va avanti giorno dopo giorno con grande determinazione nella sua società sportiva, la Sesto Ritmic Dreams di Sesto San Giovanni.
Grazie al nostro educatore, Andrea Melzi, che ha frequentato con Alessia, a Milano, la facoltà magistrale di Scienze motorie, avremo la fortuna di avere Giorgia tra noi, anche solo in video chiamata, LUNEDÌ 26 Aprile, dalle 15,00/16,00 per raccontarci la sua storia. Saranno collegati tutti i ragazzi della scuola secondaria di Rigola e quelli della classe terza di Montano Lucino.
Aspettando con trepidazione questo importante appuntamento con una star della televisione e non solo, una stella tra le stelle, quale è Giorgia, a mio parere, c’è una cosa che vorrei dire a tutti i miei alunni, che sono in preda a un’ansia di perfezione che li blocca e li fa sentire incapaci o negati solo perché non raggiungono un ideale che non esiste. Non preoccupatevi se non siete perfettamente quello che vorreste essere, se qualcosa si mette tra voi e i vostri sogni, perché la parola perfetto significa in realtà concluso, finito, chiuso. Se non siete perfetti, semplicemente significa che non siete finiti. Se non siete perfetti, significa che siete ancora vivi.
Giorgia ce lo ha gridato con ogni suo muscolo e ogni sua battaglia, e siamo qui ad ammirarla oggi, esattamente come facciamo ancora, dopo millenni, di fronte alla Nike di Samotracia.
Jolanda Caprioli, docente presso la scuola Don Carlo San Martino
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